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Un percorso spirituale per il paziente e chi lo accompagna – don Paolo Gibelli sacerdote

13 Maggio 2015 - orario: 17:00 - 18:30

- Gratuito
  • Secondo incontro del programma “AFFRONTIAMO L’ ALZHEIMER”senza paure 2, organizzato dall’ Associazione Onlus Non ti Scordar di Me.

    L’incontro si tiene in Via Garibaldi 25 a Schivenoglia (R.S.A. Fond. Scarpari Forattini) dalle ore 17,00 alle 18,30 a partecipazione libera e gratuita.

    L’incontro con tema “Un percorso spirituale per il paziente e per chi lo accompagna”, verrà condotto don Paolo Gibelli sacerdote.

    Per informazioni chiamare il 3801770530. Si può richiedere per tempo la presenza gratuita di operatori qualificati ad assistere, durante gli incontri, gli ammalati di Alzheimer portati dai loro familiari.

     

  • “AFFRONTIAMO L’ALZHEIMER” senza paure 2
    Mercoledì 13 maggio 2015 – “Un percorso spirituale per il paziente e per chi lo accompagna”
    Monsignore Paolo Gibelli, parroco di Cerese e di Cappelletta di Borgo Virgilio (Mn)

    Siamo convinti, come sottolineato dalla coordinatrice d.ssa Chicconi all’inizio dell’incontro, che avere inserito nel calendario di formazione il tema della spiritualità sia stata una scelta rispettosa di una sensibilità che è di ognuno, credente e non, e che rappresenta spesso una risorsa per i momenti difficili della vita.

    Per questo è stato rivolto l’invito a mons. Gibelli affinchè portasse il suo illuminante contributo di sacerdote a farci capire quale aiuto e quanto beneficio possiamo ricevere dall’azione dello spirito nella complessa e difficile esperienza umana della convivenza con malati affetti da demenza, tra cui l’Alzheimer.

    Il percorso, iniziato con la lettura del brano dal vangelo di Marco 5, 1-20, ci ha permesso di capire come Gesù stesso ha vissuto il suo rapporto con i malati psichici, offrendosi così a noi come esempio.

    Da questo deriva che alla base del nostro rapporto con il paziente sta il riconoscimento della sua persona di uomo e donna, creati ad immagine di Dio, nei quali risplende il volto di Cristo. Questa verità non può venire meno neppure quando il nostro caro non ci riconosce più o quando a noi sembra di non riconoscere più in lui la persona di prima a causa del suo distacco relazionale o per la modificazione stessa del suo aspetto fisico. Il malato non va identificato per il nome della malattia che lo ha colpito perché in lui permane la sua identità originaria che deriva dal suo stesso essere.

    Per tali presupposti, i nostri atteggiamenti e comportamenti nei suoi confronti devono essere sempre rispettosi della sua condizione ed in ogni circostanza mantenere un’interazione rivolta a procurargli il massimo senso di benessere. Da qui l’attenzione a manifestargli sempre la nostra stima, a infondergli senso di rassicurazione, di fiducia, autostima e serenità evitandogli motivi di ansia che lo portino all’agitazione.

    Quanto può essere importante stare in ascolto rispettando “i suoi modi”, anche se a noi incomprensibili, senza sforzarci di volerli cambiare!

    La medicina mette a disposizione le cure ( to cure ) che possiamo fornire nel tentativo di contenere almeno, se non proprio guarire, gli effetti della malattia.

    A questo intervento terapeutico-tecnico si aggiunge il “prendersi cura” ( to care ), ovvero preoccuparsi, prendersi a cuore lo stato del paziente e dargli per questo tutto il nostro aiuto per sostenere le sue necessità fisiologiche e psicologiche. E’ la famiglia di appartenenza che inizia così a “farsi carico“ del proprio caro accompagnandolo attraverso tutti gli stadi della malattia e provvedendo di volta in volta a sopperire ad ogni suo bisogno emergente. Si compiono degli step che col passare del tempo richiedono però sempre più l’aiuto anche di persone esterne, per garantire un’assistenza che la famiglia non riesce più a dare da sola.

    Infine l’empatia ( to core ): entrare cioè nel centro profondo della persona, immedesimarsi nel suo vissuto a tal punto da fare proprie le sue caratteristiche. Significa rispettare i suoi tempi sino a farli diventare i nostri, capirla dallo sguardo, da un gesto, da un suono, entrare in dialogo con lei non più solo a parole ma attraverso anche una gestualità che crea sintonia.

    Succede come per due genitori che accolgono il loro primogenito: la loro vita a due non è più la stessa. Così anche noi sentiamo cambiare la nostra vita che si modifica in funzione del nostro malato. Subito ci appare come una perdita, ci sembra di rinunciare a parte di noi stessi, ma poi, in effetti, questa sua inquietante diversità ci può venire in aiuto per “guarire” certe patologie che ci attanagliano. Così riscopriamo aspetti della vita che avevamo trascurato: possiamo valutare ad esempio il condizionamento che ci impone la ricerca dell’efficientismo esasperato, o la fretta che non ci dà mai tempo per trovare spazi di relazioni importanti da dedicare agli altri e a noi stessi.

    Di conseguenza si fa largo la necessità di trovare un giusto equilibrio tra il coinvolgimento nella situazione dell’altro ed il distacco necessario a tutela di noi stessi. Avere cura di sé deve tenere conto anche delle relazioni interpersonali che sussistono all’interno dell’intera famiglia.

    E’ stato rilevato scientificamente che la conduzione di una vita spirituale personale più profonda, che non sia pura ritualità, favorisce la produzione di sostanze nell’organismo che danno un senso di benessere e che aiutano a mantenere più attive le facoltà cognitive.

    Pertanto Mons. Gibelli ha concluso il suo edificante intervento suggerendo di cercare sostegno e sollievo personale nell’esercizio di una breve pausa giornaliera dedicata al raccoglimento interiore, in atteggiamento di silenzio-ascolto, che può essere facilitato dalla lettura rilassata di salmi usati come vere preghiere rivolte al Signore.

    E’ come sostituire la fatica che ci opprime con il peso di Cristo: Lui la rende sempre più leggera facendoci sentire sempre più riposati.

     

Organizzatore

Non ti Scordard di Me

Luogo

RSA Scarpari
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